[se il futuro di ieri è meglio del futuro di oggi, allora oggi è preferibile al domani]
eccola infine la crisi, si sapeva che sarebbe arrivata. La crisi dalle parti mia è una bestia strana che attanaglia di più l'anima che il portafoglio. La precarietà della vita è qualcosa che un "partita iva" sente da sempre, non c'è modernità che tenga: la differenza non è sulla stabilità o la flessibilità spinta, ma la condizione di progettualità sul medio-lungo periodo. Mo riparte/nn se move 'na paja. Di soldi sempre pochi, che meno di così era onestamente difficile immaginarmici (ma infatti il problema ad oggi è rendersi conto dell'incapacità e l'impossibilità di immaginarsi il domani. Il problema è immaginarsi domani, senza sentire il vuoto dell'impotenza!), quindi io l'orlo della crisi me lo vivo come condizione di sempre, emergenzialità way of life, imparando giorno dopo giorno grazie al Gran Maestro (che tanto più di quelli non mi dava di paghetta!), che una vita fatta di essenze era meglio di una vita fatta di apparenze. Ho sempre fatto a meno del superfluo infatti, con quel non so che di medioevale che mi trascino da sempre, quel fare da contadino inurbato, da sempre estraneo alla propaganda (o la chiamate pubblicità?), che se desidero una jeans mi sento quasi in colpa perché ancora ne ho tre buoni nell'armadio e cmq fa sempre in tempo ad arrivare quel vecchio jeans fichissimo (strappato perché vecchio, mica fashon!!) che al fratellone non entra più. Uso dire che a casa mia son monarchici ancora, pure che a loro piace dire proprio fascisti spesso, a rimarcare un rifiuto della società odierna e un attaccamento al lavoro, la terra, le mani zozze de grasso, il maschio d'un certo ruolo sociale e famigliare (una volta a rifiutare la società e a rimanere attaccati al senso del lavoro erano i comunisti, ma a casa mia non gliel'ha mai detto nessuno evidentemente. Resta il senso che c'è nostalgia di vecchi mondi in cui "c'era meno pane, ma più speranza pel dimane" [autocit.] e rifiuto di un mondo ormai arrivato al massimo che può solo declinare).
eccola infine la crisi, si sapeva che sarebbe arrivata. La crisi dalle parti mia è una bestia strana che attanaglia di più l'anima che il portafoglio. La precarietà della vita è qualcosa che un "partita iva" sente da sempre, non c'è modernità che tenga: la differenza non è sulla stabilità o la flessibilità spinta, ma la condizione di progettualità sul medio-lungo periodo. Mo riparte/nn se move 'na paja. Di soldi sempre pochi, che meno di così era onestamente difficile immaginarmici (ma infatti il problema ad oggi è rendersi conto dell'incapacità e l'impossibilità di immaginarsi il domani. Il problema è immaginarsi domani, senza sentire il vuoto dell'impotenza!), quindi io l'orlo della crisi me lo vivo come condizione di sempre, emergenzialità way of life, imparando giorno dopo giorno grazie al Gran Maestro (che tanto più di quelli non mi dava di paghetta!), che una vita fatta di essenze era meglio di una vita fatta di apparenze. Ho sempre fatto a meno del superfluo infatti, con quel non so che di medioevale che mi trascino da sempre, quel fare da contadino inurbato, da sempre estraneo alla propaganda (o la chiamate pubblicità?), che se desidero una jeans mi sento quasi in colpa perché ancora ne ho tre buoni nell'armadio e cmq fa sempre in tempo ad arrivare quel vecchio jeans fichissimo (strappato perché vecchio, mica fashon!!) che al fratellone non entra più. Uso dire che a casa mia son monarchici ancora, pure che a loro piace dire proprio fascisti spesso, a rimarcare un rifiuto della società odierna e un attaccamento al lavoro, la terra, le mani zozze de grasso, il maschio d'un certo ruolo sociale e famigliare (una volta a rifiutare la società e a rimanere attaccati al senso del lavoro erano i comunisti, ma a casa mia non gliel'ha mai detto nessuno evidentemente. Resta il senso che c'è nostalgia di vecchi mondi in cui "c'era meno pane, ma più speranza pel dimane" [autocit.] e rifiuto di un mondo ormai arrivato al massimo che può solo declinare).
Quello che hanno tolto al Gran Maestro oggi però non è un mondo ideale o un semplice bene materiale: non è tanto una questiona di conti che amareggiava il Gran Maestro oggi pomeriggio, era la "bellezza" perduta. Un sogno naufragato. Una vita a pensare e calcolare, a immaginare e ragionare in un certo modo, convinti e imperterriti che il mondo funzioni ancora così, che ripartirà prima o poi ... e poi quando fai il grande salto dura pochissimo perché arriva la crisi mondiale. Cheppale. "Era una bella macchina". Da oggi rimane la tristezza di un posto vuoto sotto 'r baraccone dei cammi: ci si starà più larghi.
Da che sono piccolo io ho visto lì sotto tir e camion con gru grandissime, fino al piccolo "delli" del grande Vecchio di oggi che quasi non trovava spazio lì sotto... ma è la prima volta che vedo uno spazio vuoto, perché è la prima volta che il Gran Maestro non sostituisce il mezzo, ma lo lascia andare via lontano per sempre. *
Ma la grandezza non si vede da quanto è grande il mezzo, né da quanti ne hai. E alla fine tutti i nodi torneranno al pettine. Da 'sta parte, non pagare è fonte di imbarazzo e non ci fa sentire furbi mai: e a noi ce piace guardasse allo specchio la mattina, tramandare questo valore di generazione in generazione. Ma viviamo in un mondo in cui paghi le tasse su fatture che troppo spesso non ti pagano: è qui che lo Stato diventa complice del truffaldino, confermando questa complicità coi diversi condoni che conosciamo. Ti vorrebbero convincere che è meglio non pagare i tuoi creditori e che è più furbo strappare le fatture per un 740 modesto.
Ma la dignità e l'onore non hanno un prezzo. E a noi ce basta de pensacce giusti e guardasse allo specchio, che saremo bòni padri. Che il quarto jeans non te fa più bello allo specchio de quanto non faccia 'na coscienza pulita.
Pace a chi, in leasing, c'ha preso la Dignità: perché vuol di' che gli ha dato un prezzo.
* La crisi mondiale non è semplicemente un mercato più stagnante o la riduzione dei consumi: non è non banalmente arrivare alla fine del mese o meno e non è nemmeno precarietà vs stabilità. La vera crisi è emotiva: è nella reazione "alle cose che accadono al di sopra delle parole celebrative del nulla lungo un facile vento di sazietà e di impunità". La mutazione antropologica della società dei consumi (quella che il fascismo non è riuscita ad ottenere, citando Pasolini), ha creato una maggioranza emarginata. Nella canzone appena citata DeAndré [preghiera in gennaio] la maggioranza è dipinta come quella che guarda ma non interviene e così facendo è complice e artefice dell'emarginazione. Quella che quindi emargina una minoranza. Oggi è la maggioranza stessa ad essere emarginata, a vivere alla giornata perché la società in cui stai non ti permette di immaginare un futuro, di costruire progetti. Una società che mangia sé stessa, che manda al massacro chi non si rende conto (per anestesia e per abitudine) di essere ormai preda in questo gioco e non più predatore. Disgustorama.
Il mio Gran Maestro è solito ripetermi che lui la mattina alle cinque si alza e va a lavorare ugualmente, nonostante i dibattiti politici di ballarò che risolvono ben poco. Perché Adamo doveva lavorare col sudore della fronte e questo sembrava bastare per andare avanti convinti che il lavoro è un diritto (per i lavoratori dipendenti) e che primo o poi riparte (per gli imprenditori/partita iva). Invece è proprio questa roba qui che sembra scricchiolare: ripartirà? come? quando? Ed è proprio far fare queste domande ad un uomo che è un crimine, instillargli paura e incertezza, minare la sua stabilità in tutti i sensi è crudele e ingiusto. La precarietà pure dei "padroni" è il freno a mano del mondo, strozzato dalla finanza. Ma questo è un gioco al ribasso che ci renderà tutti un po' più pazzi, anche se di fatto sembra auto sostentarsi e garantire le rendite finanziarie.
Speriamo che prima o poi questa corda si spezzi, a furia di tirare; e che il cetriolo non giri sempre dalla parte dell'ortolano. Ci hanno tolto l'immaginazione del domani e non sappiamo come fare, ma prima o poi qualcosa accadrà: la storia è fatta di rotture e discontinuità, ma soprattutto si ripete.
Waiting for the sun.
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